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Una bella mostra del fotografo valdarnese Tommaso Boni inaugurata ieri a Castelfranco

C’è una strada di pietre e sassi, tra i vicoli di Castelfranco, dove da qualche giorno alcuni occhi indiscreti scrutano i passanti. Non hanno la Parola ma manca loro solo quella a quei volti in bianco e nero immortalati nei giorni scorsi in paese e stampati su forex dal valdarnese Tommaso Boni, fotografo per passione e trasmissione, che raccontano la storia di una comunità ancora diversa, che resiste in un mondo che piano piano si omologa. È stata inaugurata ieri in via Palestro a Castelfranco di Sopra la mostra fotografica “Castelfranco 21”, di Tommaso Boni appunto, che ferma in un muro delle vie del centro ventuno personaggi dell’abitato dell’altipiano valdarnese, che resterà aperta fino alla fine dei festeggiamenti del Perdono, ovvero fino al 29 agosto.
“In una società occidentale in cui progressivamente tutto tende ad omologarsi alla velocità della luce, anime e corpi – si legge nell’introduzione della galleria -, in un mondo globale in cui i social network sovrammettono gli individui fino al punto di renderli il più possibile identici, in un mondo in cui soprattutto i giovani individuano come punti di aggregazione i “non luoghi”, ovvero scatoloni di cemento identici da Dallas a Figline, la provincia ancora si salva e fa salvare. Le nostre campagne con i loro paesi e le loro genti, continuano nonostante tutto a conservare un’aurea autentica, che coltiva le radici come il cuore pulsante del proprio essere e della Propria memoria. Una ricchezza feconda questa, che permette alla cultura di una terra di preservarsi nella comunità e di continuare a trasmettersi di padre in figlio, di generazione in generazione.
Anche a Castelfranco il culto della conservazione della propria memoria e della propria storia non si è cancellato. Anche in questo borgo toscano abbarbicato sull’altipiano delle Balze a metà strada tra Firenze ed Arezzo gli uomini hanno saputo custodire come un prezioso monile il sogno della ricchezza della diversità.
È questo il messaggio che si cela dietro gli scatti di questi volti, scavati dal tempo e dalla vita. Catturati nella normalità delle loro esistenze”. Basti pensare che Molti di loro hanno attraversato il ‘900 senza mai allontanarsi da questo fazzoletto di terra, mantenendo con esso un legame quasi sacro, di terra e di sangue, che li ha resi a loro modo dei monumenti viventi. Ogni ruga una cicatrice della vita, ogni sguardo il segno di un mondo che resiste, che non scompare, che nonostante tutto conserva un potere e consegna alla provincia il testimone muto di un compito arduo ed affascinante: non perdere mai di vista e non cancellare mai dal cuore la scintilla che ha scaturito il nostro grande viaggio. Preservare quel fuoco e trasmetterlo al futuro. Così la diversità sarà ricchezza ed il mondo, il mondo potrà essere un luogo ancora affascinante da scoprire.
Una mostra che vale la pena andare a vedere, anche perché poi è a cielo aperto, basta fare due passi in centro e sembra di fare un salto indietro nel tempo.

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