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L’altra domenica di Leonardo De Nicola. “Bekaert. Anni di inutili parole…”

La Pirelli è stata, come ha scritto Mario Lancisi sul Corriere della Sera, per oltre mezzo secolo il cuore economico e politico di Figline e di buona parte della vallata. Come lo sono state la Ferriera a San Giovanni, la centrale a Santa Barbara e via discorrendo. Non siamo all’identificazione città-azienda come la Piaggio per Pontedera, l’acciaieria per Piombino, il Monte dei Paschi per Siena, ma poco ci manca. L’arrivo dello storico marchio milanese nel 1960 aveva determinato il cambiamento della città, passata in breve tempo da un’economia prevalentemente agricola o del terziario ad una industriale.
L’ingresso 6 anni fa della Bekaert ha di fatto certificato la morte dell’azienda e di quel mondo fatto di cultura tecnologica e di maestranze preparate come poche altre nella lavorazione della trafilatura dell’acciaio per gli pneumatici. I nuovi proprietari hanno mostrato fin da subito scarso interesse per tutto questo, spinti esclusivamente ad acquisire gli elementi tecnologici più avanzati e a delocalizzare la forza lavoro in paesi a più basso costo salariale. Ed il finale tristissimo… un po’ da tutti contro tutti, dai sindacati con le varie organizzazioni alla politica, sempre più incapace nel determinare le scelte ed i percorsi di queste multinazionali, spesso limitandosi a interventi per lo più di solidarietà.
Dalla Electrolux di Scandicci nel 2008 alla Bakaert di Figline ci sono in mezzo tredici anni di crisi nella nostra regione (un tempo felice) senza uno straccio di reindustrializzazione fra progetti inarrivabili, sponsor evaporati e una grande confusione propagandistica. Un lungo cahiers de dolehances che, solo al momento, mette a repentaglio in Toscana oltre quindici mila posti di lavoro. Da questo lungo bollettino di guerra, soltanto la Ginori di Sesto al momento sembra aver tratto beneficio dal cambio di proprietà, per il resto sono dolori. Ed in mezzo ovviamente le storie di ogni lavoratore, famiglie impoverite e una società post industriale sempre più povera e diseguale. Una società che fa fatica a ricordarsi degli operai, dei salariati spesso mal pagati che lavorano con le mani e con le braccia, come se tutto appartenesse al passato remoto.
Si parla di fibra veloce, di smart working ecc ecc: tutta roba importante ma, nello stesso tempo, c’è un mondo dimenticato di cui si è persa la coscienza collettiva. Un mondo una volta dominante sul fronte del lavoro e di cui oggi, nelle sperdute periferie, ci ricordiamo solo in situazioni particolari: se c’è da fare qualche bella marchetta elettorale o quando una giovane madre di 22 anni perde la vita in un orditoio, oggi come 50 anni fa. Una rimozione non soltanto fisica ma culturale che intristisce parecchio.

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