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Ragazzi normodotati e con disabilità intellettiva giocano nella stessa squadra. L’impegno di Michelangelo nella Special Synergy

La disabilità oggi sembra essere ancora un tabù, una battaglia dimenticata da tutte le lotte sociali che stanno animando i nostri tempi. L’educazione all’inclusività si pone come obiettivo quello di rendere ogni condizione umana la normalità, coinvolgendo la collettività in progetti di integrazione. Oggi Valdarno 24 ha incontrato Michelangelo Innocenti, un giovane ragazzo che da molti anni è impegnato come allenatore della squadra Special Synergy di San Giovanni Valdarno. Michelangelo ha fatto dell’inclusività non solo il valore del suo volontariato ma anche il suo ambito di studio e di formazione.

Michelangelo, in cosa consiste il progetto Special Synergy?

“Special Synergy è un gruppo di basket unificato, cioè una squadra di pallacanestro in cui ragazzi normodotati e ragazzi con disabilità intellettiva giocano nella stessa squadra. Il fine del progetto è quello di includere i ragazzi con disabilità e dare loro la possibilità di competere. La Special Synergy è nata grazie alla collaborazione con Special Olympics , un’organizzazione a livello mondiale che coordina tornei e partite tra squadre di basket unificato.”

Come è nato il progetto?

“Il progetto esiste da 4-5 anni ed è nato insieme ai licei di San Giovanni Valdarno per dare continuità a quello che allora era il gruppo Spider. L’idea era quella di creare un progetto per i ragazzi con disabilità ma anche e soprattutto destinato ai ragazzi delle nostre giovanili per trasmettere loro il concetto di inclusività. Sono rimasto felicemente colpito, non mi sarei aspettato una risposta di questo tipo da parte dei nostri giovani: ci siamo dovuti addirittura organizzare in turnazioni perché c’erano troppi volontari. I ragazzi vengono, si divertono e soprattutto ci aiutano molto: il ruolo del giocatore delle giovanili è quello di essere partner, ovvero la guida in campo. Le partite si giocano sempre 5 contro 5 con in campo 3 ragazzi con disabilità e 2 partner. Le regole durante le partite sono molto flessibili: è possibile modificarle perché il gioco sia il più inclusivo possibile. L’arbitro deve riuscire ad adeguare le regole in base al giocatore e alla squadra.“

La scelta di volontariato si intreccia con il tuo percorso formativo. Qual è il tuo ruolo nella squadra?

“Io sono l’allenatore della squadra, per ora sostituito mentre sono in Erasmus. Il progetto è nato grazie al vice presidente Gabriele Marchionni, colui che gli ha dato forma e vita e conoscendo la mia scelta universitaria, mi ha subito contattato. Io sono laureato in scienze della formazione e dell’educazione e nel mio percorso formativo ho scelto come ambito di studio proprio la disabilità, in particolare quella intellettiva. È molto importante che all’interno di progetti del genere ci sia personale qualificato e preparato. Non dobbiamo conoscere solo lo sport, ma anche le dinamiche da rispettare, i comportamenti da avere e le cose da non fare. Ognuno ha diversi tipi di patologie: quando interveniamo e ci relazioniamo con i ragazzi dobbiamo farlo in un modo preciso. I ragazzi devono competere nello sport ma il primo interesse deve essere il loro benessere. Personalmente ho iniziato a lavorare come educatore socio – pedagogico per una cooperativa e ho partecipato a progetti organizzati da associazioni della zona: seguo questo progetto fin dalla nascita, fa parte del mio percorso personale e professionale. “

Special Synergy è un esempio di integrazione e inclusività: quale credi siano i muri da abbattere su questo tema?

“Per quanto sia fiero che la mia società faccia progetti di questo tipo, sarebbe bello che tutte le realtà sportive riuscissero a proporre squadre inclusive, serve solo la volontà di farlo e un po’ di organizzazione. La disabilità sembra essere ancora un tabù: abbiamo fatto passi avanti, ma ancora siamo lontani dall’inclusività vera e propria. Chi non si avvicina alla disabilità è perché non la conosce, spesso a causa dell’assenza di progetti del genere. È necessario che le persone tocchino con mano realtà come queste per sapere quanto è facile includere ma soprattutto il bene che possono fare ai ragazzi. Queste esperienze non si limitano a farli crescere sportivamente. I ragazzi vanno a cena insieme; prendono il treno; si aiutano a vicenda; fanno la doccia da soli e hanno autonomia negli spogliatoi: sviluppano tantissime capacità, fondamentali per il loro futuro. Non si tratta solo di inclusione, ma anche di rendere indipendenti i ragazzi. Noi assistiamo a una loro grande crescita nella quale acquisiscono tantissime competenze, conoscono cose nuove, competono e cambiano tantissimo: per noi è una grande soddisfazione.”

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