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Un ricordo di Gianni Vattimo, il grande filosofo scomparso

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40 anni fa frequentando la mia vecchia e cara Torino per obblighi di leva, avevo spesso il piacere di incontrare Gianni Vattimo, il filosofo scomparso da due giorni. Lo ricordo, bello ed imponente al bancone di Florio, regalare battute in dialetto sabaudo agli avventori… Cresciuto all’ombra di giganti della filosofia come Pareyson, Bobbio, Ludovico, Geymonat, Vattimo è stata la prova provata come nell’Italia del nostro dopoguerra il talento e lo studio potessero portare dappertutto o quasi.

Il filosofo del “pensiero debole”, lo studioso che ha rielaborato Nietzsche e Heidegger, intelligente, ironico ma anche scorrettissimo politicamente. Riteneva il comunismo una necessità per il popolo senza mai rinnegare del tutto le radici cattoliche, lui cresciuto fra i salesiani. Frequentava casa Agnelli e quelle popolari della Gescal, passava conversando con estrema naturalezza da Marcuse a Bonolis, vantandosi di essere citato nei dizionari filosofici francesi prima di Voltaire.
L’outing glielo fece fare nel 1976 l’amico e libraio Angelo Pezzana, il padre del movimento omosessuale italiano.

Ha avuto una vita sentimentale alquanto tribolata, due compagni amatissimi scomparsi prematuramente, un fidanzato di 38 anni persino accusato di circonvenzione di incapace. Su tutto questo si staglia comunque la figura di un fine intellettuale, un gigante del pensiero che ha anticipato per certi aspetti la fine delle ideologie e dei dogmi mettendoci in guardia allo stesso tempo dai pericoli del relativismo sociale. Il pensiero debole è in realtà il pensiero forte e forse una delle vere ragioni della nostra esistenza. Saluto il professore che mi ha persino illuminato in certi suoi passaggi e ricordo quelle mattine al bancone ottocentesco di Florio fra tazze fumanti di caffè, bicerin e zabaioni…la vecchia cara Torino.

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