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Irene, 18 anni, volontaria della Misericordia di San Giovanni, colpita da Covid. “Ho pensato spesso alla morte. Grazie a chi mi ha salvato la vita”

Il Covid non colpisce solo le persone adulte e gli anziani. Ma anche i giovani. E ne è una prova la testimonianza di Irene Rossi, 18 anni, di Terranuova Bracciolini, volontaria della Misericordia di San Giovanni. Ha voluto raccontare la sua storia soprattutto per sensibilizzare chi ancora, soprattutto, tra i ragazzi, sottovaluta questo terribile virus. “Ho visto il Covid da vicino – ha detto – e voglio ringraziare le tante persone che mi sono state accanto in questo periodo molto difficile, la dottoressa del mio cuore, Tamara Taddei, il dottor Scala e la sua equipe infermieristica e il dottor Bocci dell’USCA. Grazie di avermi salvato la vita”.
Irene, essendo parte della Misericordia, conosce bene le conseguenze del Coronavirus e ha sempre cercato di rispettare tutte le regole per la prevenzione del virus, ma questo non è stato sufficiente: si è ammalata e per lei è iniziato un incubo.
“Il 27 ottobre ho iniziato l’isolamento a casa a causa della positività di una mia compagna di classe. Mi sono isolata nella mia stanza dato che con me vive mia nonna di 84 anni con una patologia polmonare importante e non avrei voluto in qualche modo metterla in pericolo – ha scritto – . Dopo qualche giorno si sono presentati alcuni possibili sintomi, mal di testa e febbre. Ho fatto il quindi il tampone e con grande sorpresa, nonostante tutta la prevenzione, era positivo”.
A quel punto la giovane ha contattato l’Unità Speciale di Continuità assistenziale (USCA), che le ha subito dato assistenza. Ma le sue condizioni di salute peggioravano di giorno in giorno e le è stata diagnosticata una polmonite bilaterale interstiziale con crisi respiratorie e tosse. “Ad un certo punto la saturazione in movimento si era abbassata a tal punto che i medici hanno deciso di ricoverarmi. In un primo momento non si sapeva dove mi avrebbero portato in quanto il San Donato di Arezzo era al completo e non c’era nessun letto disponibile. Ci hanno comunicato che gli ospedali con qualche posto libero potevano essere quello Grosseto o quello di Città di Castello. Fortunatamente però alla fine mi hanno trovato un letto in pneumologia ad Arezzo. Il colpo psicologico del ricovero – ha spiegato Irene – è stato fortissimo: il terrore di andare da sola verso un percorso dal quale non sapevo cosa aspettarmi e la paura della solitudine mi facevano stare in uno stato d’ansia continuo, che si aggiungeva alla sofferenza fisica”.
“Appena arrivata in ospedale, appurata la gravità del mia insufficienza respiratoria, mi hanno messo subito il casco, imbracandomelo sotto alle braccia e facendomi stare in posizione supina per far meno pressione sui polmoni, posizione non comoda visto l’ingombro di quel casco, che però mi stava aiutando a respirare. Indossare il casco non è stata una passeggiata – ha continuato – . Sento ancora il rumore costante del fischio continuo nelle mie orecchie, nella mia mente; è stato un suono ipnotico che mi isolava dal resto del mondo. Le ore non passavano mai, sono stati giorni lunghissimi, i più difficili di tutta la mia vita”.
La ragazza ha però iniziato a reagire e il casco le è stato sostituito con quella che ha definito una noiosissima strumentazione nasale che dominava il suo respiro naturale assumendone il controllo. “Mi sembrava di non saper più respirare, una cosa che mi era sembrata scontata per tutta la vita era diventata difficilissima. Il mio respiro tornava indietro, ero molto affannata, non avevo alcun potere su quella macchina – ha spiegato -. Non nascondo di essermi disperata parecchio. Ho pianto, ho pianto molto e avevo tanta paura, nonostante cercassi di farmi forza. Fortunatamente mi hanno permesso di tenere il telefono che è stato il mio unico mezzo di contatto con la mia famiglia, che mi ha tenuto compagnia facendomi distrarre quando possibile, con semplici gesti e importanti parole di conforto. Durante le interminabili giornate pensavo solo al presente perché non vedevo futuro. L’unica preoccupazione era quella di respirare in autonomia, dovevo reimparare a farlo, mi dicevo “dai, è semplice lo hai sempre fatto, forza”.
“Ho pensato spesso alla morte, anche se non sembrerebbe esserci niente di più lontano della morte quando si ha 18 anni – ha continuato Irene -. Vicino a me c’erano persone che purtroppo non ce l’hanno fatta, e nonostante i sanitari mi abbiano tutelato, mettendomi in una camera in disparte per non vivere lo strazio di chi non ce la faceva, lo sapevo benissimo. Non pensavo di uscirne indenne. Pensavo solo alla mia famiglia, a casa, che non poteva vedermi, che si aggrappava alle parole dei medici e a qualche messaggio. Pensavo a loro e pensavo alla morte. A come avrebbero potuto continuare la loro vita senza una figlia, perché credo che non ci sia niente al mondo di più straziante del dolore di un genitore che sopravvive a un figlio. Pensavo a quanto voglio loro bene e quanto sono importanti per me. Ho sofferto molto la solitudine”.
“Poi di giorno in giorno qualche piccolo miglioramento, la situazione si stava mettendo per il meglio. finalmente stavo vincendo, ero stata più forte del virus e mi sono sentita come un super eroe che ha sconfitto il male”, ha aggiunto la giovane volontaria, che ha poi lanciato un monito.
“Il covid lo possiamo prendere davvero tutti e il rischio di stare davvero davvero male c’è, non conta l’età, e io ne so qualcosa. Dobbiamo continuare a rispettare le regole, seriamente, per noi e per le persone a cui vogliamo bene. Da stare bene a stare male è un attimo”.
Un sospiro di sollievo anche da parte della Misericordia di San Giovanni. “Irene è una ragazza che presta attività di volontariato presso la nostra Confraternita con presenza costante e con dedizione – ha detto il Governatore Lorenzo Polvani – .Siamo felici che abbia superato questo difficile momento, ed una volta uscita da questo periodo critico, ritorni tra noi a svolgere il suo prezioso servizio”.

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