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A 55 anni dall’alluvione del ’66 cosa è stato fatto e cosa c’è ancora da fare in Valdarno

Ieri è stata ricordata una data storica per Firenze e il Valdarno: la terribile alluvione del 1966, che devastò interi territori. L’evento naturale più disastroso dal dopoguerra, che ancora oggi i nonni raccontano ai nipoti. Ci sono state altre alluvioni, come quella del 1992, ma nell’immaginario collettivo rimane, indelebile, quella che si verificò alla metà degli anni sessanta. Oggi la vallata è decisamente più sicura, ma non ancora in maniera definitiva. L’evento di 55 anni fa è considerato duecentennale e fu assolutamente straordinario, soprattutto perché la pioggia cadde incessante per giorni interi. Oggi il clima è cambiato. Ci sono fenomeni più localizzati, di grande intensità ma più brevi. Inoltre rispetto al ’66 abbiamo un piano di protezione civile che allora non c’era. Anzi, fu proprio quell’evento a portare alla nascita del sistema di emergenza che ci invidia tutto il mondo. Venendo alle opere, l’alluvione di metà anni sessanta, in Valdarno, fu provocata non tanto dallo straripamento dell’Arno, quanto dall’esondazione degli affluenti. Da questo punto di vista sono stati eseguiti interventi di arginatura in molti torrenti. Alcuni lavori di una certa rilevanza sono stati poi fatti, ma c’è ancora da intervenire, ad esempio, sul sistema delle casse di espansione e sulla diga di Levane e la Penna. Per quanto riguarda il primo aspetto, sono state realizzate, in questi anni, le casse di espansione sull’Ambra, sul Lusignana e alla Penna di Terranuova. Restano da realizzare quelle sul Trove, a Scrafana e al Pestello Per queste ultime due opere le risorse ci sono già, ma non sono state ancora utilizzate. Realizzata e inaugurata, invece, la cassa di espansione a Levanella, inaugurata all’inizio dell’autunno.
L’intervento più massiccio è legato però all’innalzamento della diga di Levane, che costerà svariati milioni di euro. Mercoledì scorso ne ha parlato anche il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, che ha prima illustrato il sistema di laminazione di Figline, che interessa l’intero Valdarno Fiorentino. Comprende le casse di espansione di Pizziconi, Prulli, Leccio e Restone situate rispettivamente nei comuni di Figline e Incisa Valdarno, Reggello e Rignano sull’Arno. La volumetria complessiva e la loro capacità di regolazione attraverso paratoie mobili, permetterà di gestire la laminazione di circa 25-30 mln di mc di acqua, riducendo il rischio idraulico della città di Firenze e dei comuni limitrofi. Nel caso di un evento tipo quello del 1966, il sistema di laminazione di Figline permetterebbe sostanzialmente un abbattimento della portata di acqua in arrivo nel centro storico di Firenze di circa il 10%, minimizzando il rischio idraulico residuo.
Intanto sono partiti i lavori per la realizzazione del secondo lotto della cassa di espansione ‘Pizziconi’: intervento da quasi 23 mln di euro che dovrebbe concludersi entro il 2022 e che rientra nell’Accordo di programma Stato-Regione del 2015 (il primo lotto è stato concluso nel luglio 2019). In caso di esondazione, paratoie elettromeccaniche convoglieranno le acque nella cassa di espansione sottopassando autostrada A1 e linea dell’Alta Velocità. Il sistema di laminazione di Figline si compone anche delle casse di Restone, Prulli e Leccio, per una spesa totale di oltre 132 mln di euro ed una capacità di invaso di circa 25 mln di metri cubi d’acqua. Tempi previsti di realizzazione: casse di Prulli entro il 2025, cassa di Restone entro il 2023. Per la cassa di Leccio, augurando di avere il finanziamento nell’ambito del Pnrr, la conclusione dei lavori è prevista per il 2026.
Ad oggi è già funzionante un primo modulo della cassa di Pizziconi 1, per una capacità di invaso di 2.5 milioni di metri cubi.
Il secondo intervento per importanza sarà proprio l’innalzamento della diga di Levane, con l’obiettivo finale che sarà poi raggiunto con la realizzazione del sistema di casse di espansione e di “infrastrutture verdi” del fiume Sieve. Per la diga l’iter procedurale sta andando avanti. Prevista una laminazione di circa 9 milioni di metri cubi stimati in modalità statica, e un abbattimento del picco di piena a fronte di una portata entrante di circa 2650 mc/s, pari a circa 750 mc/s. L’opera consentirà anche di diminuire i battenti idrici a valle della diga e una più efficiente immissione di tutti gli affluenti. Interesserà una popolazione di oltre 100mila abitanti, con il Valdarno in primo piano. Importante anche la manutenzione che ha portato avanti, in questi anni, il Consorzio di Bonifica Alto Valdarno. . Nel frattempo è stato sottoscritto da vari enti un manifesto d’intenti definito “Un patto per l’Arno”. Si tratta di un percorso partecipativo che porterà alla definizione e alla stesura di un vero e proprio “contratto di fiume”. L’obiettivo è quello di tutelare una corretta gestione delle risorse idriche, valorizzare il territorio e l’ecosistema fluviale e salvaguardarle dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale delle aree attorno al fiume. Il tutto nell’ottica dell’idea di un Arno pulito, sicuro, da vivere e da promuovere. Il percorso è stato avviato dall’autorità di bacino distrettuale dell’appennino settentrionale in accordo con i consorzi di bonifica territorialmente competenti.

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