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“L’eco dei bombardamenti quando parlavo al telefono con mia sorella…”. Il racconto di Magdalena. Vive a Montevarchi

“Sentivo l’eco dei bombardamenti mentre parlavo al telefono con mia sorella”. Sono storie aspre quelle che provengono dai confini dell’Europa. Le racconta così Magdalena Krygier, che vive a Montevarchi da più di venti anni, ma è originaria del voivodato di Lublino, una delle regioni più a est della Polonia, a ridosso dello Stato ucraino. Lì, a pochi chilometri dalle bombe, risiedono ancora sorelle, cugine, nipoti. Tutti i giorni, dallo scorso 24 febbraio, viene informata dai parenti su ciò che succede in una delle principali zone di transito per chi scappa dal conflitto tra Russia e Ucraina e desidera entrare in Europa. Famiglie che si riscaldano grazie a fuochi accesi dentro bidoni posti lungo le strade. Scuole che diventano centri di accoglienza per rifugiati. Mariti e padri che accompagnano alla frontiera mogli e figli, per poi tornare a combattere. Sono solo alcune delle immagini che riceve sul cellulare o che le vengono riportate da chi questa emergenza la sta vivendo in prima linea. “A Hrebenne, poco più di un chilometro dal confine ucraino, è dove ho frequentato il liceo – racconta Magdalena – La palestra del mio istituto adesso è piena di letti. I bambini delle scuole elementari seguono le lezioni a distanza perché le aule sono state adibite a centri di accoglienza per i rifugiati”. L’accesso all’Unione Europea non è semplice. I controlli alla frontiera possono durare diverse ore e i profughi sono principalmente donne e bambini che, usciti di casa con pochi vestiti e oggetti essenziali, necessitano di tutto. Un vero e proprio dramma riguarda i bambini sotto i 7 anni che arrivano da soli. Per legge non possono espatriare e restano in attesa che un giudice di pace stabilisca il ricongiungimento con parenti o tutori. “Mia sorella abita vicino a Lublino – prosegue la donna di origini polacche – dove sono state rese disponibili per i rifugiati stanze all’interno delle parrocchie oppure immobili comunali. Mia cugina invece ha una casa abbastanza ampia e ciò le ha permesso, fin dalla prima notte di guerra, di ospitare i rifugiati prima ancora che venissero allestiti centri di accoglienza. Solitamente al mattino, dopo essersi presa cura degli ospiti, si reca al centro più vicino e aiuta i volontari a smistare gli aiuti in arrivo da tutta Europa”.
Tanti rifugiati non entrano in Polonia per restare, ma cercano mezzi di trasporto per poter raggiungere altre destinazioni europee. Poi c’è il rovescio della medaglia. Non tutti i polacchi hanno deciso di aprire le loro case a donne e bambini. Magdalena dice che molte famiglie del luogo hanno persino installato nuovi sistemi d’allarme per paura che gli ucraini possano irrompere dentro le loro abitazioni. Ma c’è anche chi, come il marito di sua cugina, ha messo a disposizione un furgone della ditta edile in cui lavora per organizzare viaggi alla frontiera e fornire assistenza. I bambini più bisognosi vengono portati direttamente a casa di sua cugina, mentre gli altri vengono trasferiti ai rifugi. È nato quindi una sorta di servizio navetta che lavora a fianco di Croce Rossa e polizia locale per trasportare le persone dove necessitano, che sia all’ospedale per una visita o alla stazione ferroviaria. “L’Ucraina è un paese giovanissimo – conclude – e adesso intere generazioni saranno cancellate per sempre”. Poi avverte: “Putin non guarda in faccia chi bombarda. Tutti sono a rischio in questo conflitto, ucraini ed europei”.

(Intervista di Francesco Tozzi)

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