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25 anni senza De Andrè….più nessuno come lui!

Nessuno come lui! C’è un prima e un dopo De Andrè nella storia musicale italiana e in quella della canzone d’autore. A 25 anni dalla sua scomparsa, la popolarità ma soprattutto l’alto livello artistico del lavoro e del suo canzoniere hanno spinto le istituzioni a dedicargli scuole, vie, piazze, parchi, teatri in ogni parte del paese. Un poeta si è detto, ed infatti alcune delle sue canzoni e dei testi si ritrovano già da tempo nelle antologie scolastiche.

Quale è la cosa che più ci colpisce oggi del grande Faber al di là dei suoi racconti di vita, gli emarginati, i non allineati, le prostitute? È proprio una sorta di pensiero laico verso gli ultimi e, soprattutto, la possibilità, scevra anche da ogni critica precostituita, che tutto alla fine possa essere mondato ed il peccatore si riduca in taluni casi persino a vittima…

Come del resto egli stesso scrisse dei suoi rapitori che lo tennero a lungo in ostaggio in Barbagia insieme alla compagna Dori Ghezzi sul finire degli anni 70. Pacifista ed anarchico (anche di fatto, vista l’iscrizione alla ruggente sezione di Carrara) De Andrè è stato uno degli artisti che hanno maggiormente valorizzato la lingua ligure (non un semplice dialetto), misurandosi anche con il gallurese e il napoletano.

Dalla passione giovanile per Brel e, soprattutto, Brassens, Fabrizio attraversa il sessantotto fra contestazione ed esistenzialismo. La Genova di De Andrè non è solo quella dei suoi amici cantautori ma anche la città di musicisti e poeti maledetti come Riccardo Mannerini con cui scrive lo scomodo “Cantico dei drogati”. Non c’è cosa per lui che abbia valore relativo e neanche predominante su un altra: nella vita tempestosa ma “piena” di Fabrizio c’è spazio per grandi intellettuali ma pure per i Ricchi e Poveri e Cristiano Malgioglio.

Nel 1971 esce “Non al denaro, non all’amore nè al cielo”, libero riadattamento dell’antologia di Spoon River di Masters, un capolavoro assoluto. Fabrizio ha già alle spalle “La canzone dell’amore perduto”, (la più struggente canzone italiana), “Amore che vieni, amore che vai”, “Geordie”, “La canzone di Marinella” (portata al successo da Mina) e “Preghiera in Gennaio” scritta di getto poche ore dopo la tragica morte di Tenco a Sanremo: in un mondo dominato dall’ipocrisia lui immagina l’amico salire in cielo sotto la cura amorevole di un Dio misericordioso che accoglie, non giudica, non punisce.

Nel 1973 esce “Storia di un impiegato”, un disco concettualmente non facile che coincide anche con una crisi professionale e sentimentale del cantautore che lascia la moglie, la Puny Rignon, appartenente a quella Genova bene a volte stigmatizzata. Si lega alla cantante Dori Ghezzi e, spinto dal grande Sergio Bernardini della Bussola, vince piano piano la sua ritrosia ad esibirsi dal vivo. Si trasferisce in Sardegna nella tenuta dell’Agnata e inizia una serie di collaborazioni importanti come quella con la P.F.M. da cui scaturirà un tour di straordinario successo. Anche il rapimento in mano all anonima sarda diventerà fonte di ispirazione (e se vai all’Hotel supramonte…).

Gli anni 80-90 sono quelli di “Crueza de Ma” e di “Anime Salve”, il primo, un album cantato interamente in lingua genovese. Muore a Milano l’11 gennaio 1999 a 58 anni, il giorno dopo in Carignano 10 mila persone accompagnano Faber (nome che si deve al suo grande amico Paolo Villaggio) all’ultima dimora. Nella bara, un pacchetto di sigarette, una sciarpa del Genoa, la sua squadra del cuore, e un naso da clown. 25 anni dopo ascoltare De Andrè è come abbeverarsi ad una fonte d acqua straordinaria. I suoi testi, la voce profonda, la coerenza artistica e mille altre cose ancora. Ed è così che a noi che l’abbiamo anche vissuto, i più giovani vengono oggi a chiederci del nostro amore…per lui.

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