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E il Festival va…

Loredana Bertè - Foto Ansa

In fondo cosa dobbiamo aspettarci dal Festival di Sanremo se non questo, e cioè uno spettacolo senza limiti di tempo e di argomento, una miscellanea che vede le 30 canzoni, gli ospiti (alcuni francamente sottotono) e tutto il resto messi dentro un gran calderone che definirei “espansivo”, aperto a tutti ed a tutto. La Rai e l’etere televisivo in questi giorni sono al servizio del Festival, media e social si inchinano all’evento ossequiosi. Sanremo insomma è un mito che si autoalimenta, ecumenico ed inclusivo, autoreferenziale e dunque anche in linea, prendere o lasciare, con la cultura di base italiana. Da non disprezzare. E gli ascolti sono da record, nonostante le 5 serate che hanno un po’ il fiato corto ed i tempi extralarge.

 

Mi viene chiesto un giudizio sulle canzoni in un’ottica ovviamente festivaliera e non da premio Tenco: mettendo insieme contenuto e orecchiabilità, la Bertè mi pare che ci abbia azzeccato parecchi . Altri: i Negroamaro, Irama, Ghali, che ha scatenato persino le proteste della comunità ebraica. Mango e Annalisa presentano canzoni non trascendentali ma da festival, come si diceva un tempo, mentre altri attesi protagonisti, come Fiorella Mannoia per esempio, non sono apparsi del tutto convincenti. Ecco, se proprio dovessi eleggere la migliore delle prime due serate, direi la nostra immarcescibile Loredana, che io ragazzo ebbi modo di vedere nel lontano 1976 in un esibizione sulla riviera adriatica, e cioè un secolo fa. Nella sua canzone “pazza” rievoca i momenti della sua vita, il male autoprodotto come persona e come artista, ma anche la forza di risollevarsi e tornare sulla cresta dell’ onda, odiata e perdonata. Tifo sommessamente per lei…

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