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L’altra domenica di Leonardo De Nicola. “Una canzone leggendaria di 56 anni fa….”

“Ho visto..la gente della mia età andare via, lungo le strade che non portano mai a niente….”. Con questo incipit molto “beat generation”, Francesco Guccini scrisse nel lontano 1965 “Dio è morto”, una canzone potente e rivoluzionaria che, a distanza di tanti anni, non ha perso molto del suo significato originale (in gran parte per la stupidità senza tempo del genere umano). Ovvio altresì che tutte le cose, e le canzoni fra queste, vadano “storicizzate”, ed è oggi probabile che lo stesso autore forse cambierebbe qualcosa. Il periodo: siamo alla vigilia della grande contestazione del 1968, iniziano i fermenti delle classi giovanili e c’è la speranza reale di un cambiamento diffuso della società.
Il brano venne rifiutato da Vandelli e dalla sua Equipe ma fu inciso coraggiosamente da Caterina Caselli nel 1967. Il popolare “casco d’ oro” aveva già un suo pubblico ben definito e di certo non fu una scelta facile accogliere un brano così forte e “impegnato”. Ma a consacrare definitivamente ai vertici la canzone furono “I Nomadi” del grande Augusto Daolio, che io vado sempre a salutare nella sua Novellara (è sepolto nel campo di inumazione riservato ai fanciulli….). E, comunque, l’Equipe 84, la Caselli, i Nomadi e Guccini: insomma tutta roba fra Modena e Reggio. L’impatto che il brano ebbe sul pubblico e la critica fu inevitabilmente “forte” , provocando schieramenti e reazioni opposte. Equivocando grossolanamente sul titolo (si presume), in tanti, e fra questi la Rai, bocciarono e censurarono il brano stesso. Ma appare evidente come il sospetto di blasfemia possa infiltrarsi soltanto in una non lettura del testo ed infatti la canzone venne trasmessa dalla radio vaticana e si mormora che abbia raccolto persino il gradimento dell’allora austero Papa Paolo VI, il cardinale Montini.
E’ un dato di fatto comunque come la canzone negli anni seguenti abbia fatto più breccia in un certo mondo cattolico che non altrove (per esempio ai campeggi con Prospero a Badia Prataglia e Gastra era una hit gettonatissima). Il brano gucciniano non celebra la morte di Dio nel significato nietzschiano del termine, ma appare più come un inno ad una vera rinascita spirituale, un monito alla deriva dalla società dei consumi, una feroce critica al “perbenismo interessato” e al falso moralismo. La morte di Dio si manifesta nei miti effimeri, nelle auto prese a rate, nella rissosità e nel carrierismo politico oppure nei grandi drammi della storia, come la differenza di razza o i campi di sterminio . E attraversando le inclinazioni della natura umana…l’ ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto..
Ma, nella canzone stessa, c’è spazio poi per un messaggio finale di grandissima speranza, figlio anche del momento storico e delle pulsioni private dell’autore…”Ma penso…che questa mia generazione è preparata ad un mondo nuovo e a una speranza appena nata…ad un futuro che ha già in mano, a una rivolta senza armi…perché noi tutti ormai sappiamo che se dio muore è per tre giorni e poi risorge…In ciò che noi crediamo dio è morto…In ciò che noi vogliamo dio è morto….Nel mondo che faremo dio è risorto…”
La ripresa anaforica con la quale si chiude la canzone è insomma un inno alla speranza non retorico come può a prima vista sembrare: non è casuale il dio “minuscolo” in quanto rappresentativo di una figura che nulla ha di soprannaturale o miracolistico, ma che vive fra le gente con i problemi della gente. E l’angolazione comunque laica con cui si misura il testo rafforza il messaggio stesso, rendendo straordinariamente bella e anche molto moderna questa canzone anche a….distanza di tanti anni. Buona Pasqua a tutti voi…

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