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La favola di Jallow, il ragazzo venuto dal Gambia sognando CR7

Era partito dal Gambia a neanche 17 anni, per inseguire un sogno: diventare un calciatore famoso, come il suo idolo Cristiano Ronaldo. Certo, Sulayman “Sole” Jallow, l’attaccante che ha trascinato l’Aquila in Lega Pro con le sue 21 reti, non ha ancora raggiunto i palcoscenici di CR7 ma in Italia e, soprattutto, a Montevarchi ha raggiunto un primo obiettivo. Un campionato vinto in una piazza che lo ha accolto facendolo sentire in famiglia e mettendolo in grado di esprimere finalmente le sue indiscutibili potenzialità.
Ora il ragazzo venuto dall’Africa è sulla bocca di tutti e la notorietà acquisita lo ripaga in parte di un’infanzia difficile, segnata dalla perdita della madre per la quale prega prima di ogni gara, della tristezza per gli affetti lasciati nel piccolo Paese subsahariano, e delle sofferenze vissute nel drammatico viaggio verso l’Italia, attraversando il deserto prima di poter lasciare le coste libiche.
Sbarcato a Lampedusa, la sua odissea prosegue, fino a Priolo, vicino Siracusa, e qui ritrova il pallone. Poi risale la penisola, sino a Santa Croce del Sannio in Campania, dove lo aiutano ad entrare in una formazione del beneventano, il Ponte. In un torneo giovanile in Molise lo notano i dirigenti del Riccia, formazione di Eccellenza e un allenatore delle giovanili, Roberto Mobilia, capisce di avere a che fare con un talento solo da affinare. Jallow segna 11 gol in sole 14 partite e l’Olimpia Agnonese lo porta in D. In tre mesi firma 8 reti e l’Ascoli lo ingaggia per la Primavera e il Torneo di Viareggio.
Sembra il trampolino di lancio per sfondare davvero nel grande calcio e, invece, Sulayman, amara ironia del destino, ricomincia a migrare: da Ascoli a Viterbo, da Gubbio a Cuneo, in C con tante presenze ma una sola gioia sotto porta.
All’inizio del 2020 scende in Interregionale, al Milano City, e viene segnalato a Giorgio Rosadini. Il direttore tecnico ci crede, lo fa provare, affidandolo a Roberto Malotti, il trainer che, a chiusura del cerchio, porta lo stesso nome di chi per primo aveva creduto in lui nel Riccia. E Sulayman da oggetto misterioso si trasforma in arma letale, giustiziere delle difese avversarie.

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